Il dottor Slavin: “Vannoni? Non so chi sia. Io curo chi non vuol morire”
Il dottor Shimon Slavin, pioniere dei trapianti di midollo osseo
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È una scommessa che lo ha portato, a 72 anni
d’età, ad essere il punto di arrivo per pazienti, israeliani, arabi ed
europei, che vedono nelle terapie con le cellule staminali una strada da
tentare per «evitare la morte» come riassume Slavin.
Il tono perché è
quasi remissivo: precisando che «non faccio pubblicità nè pubbliche
relazioni perché nella mia attività ciò che contano sono solo gli studi
scientifici che vengono pubblicati».
La provenienza dei pazienti è
descritta dalle lingue parlate dal suo staff di dottori, specialisti,
infermiere e segretarie: arabo, ebraico, francese, inglese, italiano,
romeno, russo, spagnolo e svizzero-tedesco. Gli italiani che chiamano
chiedendo appuntamenti e visite sono un fenomeno iniziato, quasi
all’improvviso, circa un anno fa.
«Il ritmo adesso è di una media di
cinque nuovi pazienti al mese» spiega Ruth, la sua segretaria sfoggiando
un ottimo italiano.
«Non ho idea del perché abbiano iniziato a venire
qui da noi, l’unica maniera per conoscere ciò che facciamo è partecipare
a convegni scientifici o leggere pubblicazioni mediche» sottolinea
Slavin, sposato con tre figli e continuamente in viaggio da una capitale
all’altra.
L’arrivo degli italiani è un risultato delle polemiche nel
nostro Paese sul metodo «Stamina» promosso da Davide Vannoni.
«Non so
davvero chi sia costui, non l’ho mai incontrato e non ho idea se sia o
meno autore di pubblicazioni di tipo scientifico - assicura Slavin - ma
se non ne ha fatte allora appartiene alla categoria dei ciarlatani».
Forte della credibilità sui trapianti di midollo osseo di cui gode in
Israele, Slavin è un convinto assertore della possibilità di curare con
cellule staminali. È tanto liquidatorio nei confronti di Vannoni quanto
invece mostra attenzione per i pazienti che bussano alla porta del suo
studio: «Si tratta di persone che vogliono vivere e per questo meritano
ogni possibile attenzione».
Crede nell’efficacia delle terapie con le
cellule staminali ma sceglie la prudenza nel sostenerlo: «L’esito non è
garantito ma i successi avvengono».
Come dire, si tratta ancora di una
situazione di bilico. Difende a spada tratta il metodo scientifico di
prelevare cellule staminale adulte, coltivarle e adoperarle per
rispondere a gravi malattie ma esita a sbilanciarsi sui risultati.
«Le
cellule staminali possono essere l’unica soluzione a malattie a
tutt’oggi incurabili che ci affliggono come il diabete, il morbo di
Parkinson e la sclerosi ma lo sviluppo delle terapie relative - ammette -
sta attraversando una fase di difficoltà perché cresce da parte delle
autorità regolatorie in tutto il mondo la pressione tesa a classificare
le cellule staminali come se fossero dei farmaci di tipo tradizionale».
È una tendenza che viene dagli Stati Uniti dove la «Food and
Drug Administration», l’Ente che veglia su cibi e medicinali, si sta
muovendo in questa direzione «con il conseguente allineamento di molti
altri governi, incluso quello di Israele dove il ministro della Sanità
ha iniziato a farci delle difficoltà».
Slavin non crede alla
trasformazione delle cellule staminali in nuovi farmaci da acquistare in
farmacia per due motivi convergenti.
Primo: «Per loro natura le cellule
staminali sono personalizzate, ogni essere umano ha le proprie, sono
diverse da quelle degli altri, e non possono dunque essere trasformate
in prodotti standard validi per tutti».
Secondo: «Per realizzare un
farmaco di questo tipo servono almeno 1-1,2 miliardi di dollari di
investimenti e dieci anni di ricerche, i soldi possono certamente
metterli le società farmaceutiche sempre alla ricerca di buoni affari ma
il tempo di attesa è troppo lungo per essere accettabile da pazienti
che sono alle prese con malattie ancora senza risposta e vogliono
continuare a vivere».
Riguardo alle terapie, di cui si considera un
«pioniere», Simon Slavin spiega che «ve ne possono essere diverse in più
Paesi perché devono rispettare i regolamenti in vigore». Anche per
questo viaggia in continuazione, al fine di seguire pazienti che si
trovano lontano da Tel Aviv.
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