Se non mettiamo la Libertà delle Cure mediche nella Costituzione, verrà il tempo in cui la medicina si organizzerà, piano piano e senza farsene accorgere, in una Dittatura nascosta. E il tentativo di limitare l'arte della medicina solo ad una classe di persone, e la negazione di uguali privilegi alle altre arti, rappresenterà la Bastiglia della scienza medica.
Benjamin Rush, firmatario della Dichiarazione d'Indipendenza USA, 17 Settembre 1787

lunedì 9 dicembre 2013

TAC E TAC spirale: cos'è e chi può farla

FONTE

Le informazioni presenti in questa pagina non sostituiscono il parere del medico

TAC e TC spirale

È un esame che possono fare tutti o ha controindicazioni?

Poiché la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), e le più recenti TC spirale e TC multistrato, sono indagini che impiegano raggi X, sono controindicati in gravidanza, specie se l'area da indagare è l'addome. In questi e in altri casi (per esempio in soggetti giovani), in cui è importante evitare l'esposizione a radiazioni ionizzanti, si preferisce ricorrere alla Risonanza Magnetica (o RM) che non comporta questo rischio. La TAC, attraverso l'elaborazione elettronica di sottili sezioni anatomiche prodotte utilizzando fasci di raggi X, consente di studiare qualunque parte del corpo umano, per giungere alla diagnosi di tumore e di numerose altre patologie.

Spesso, per meglio mettere in evidenza i diversi organi e tessuti da esaminare, è necessario l'impiego di un mezzo di contrasto a base di iodio, che viene comunemente iniettato per via endovenosa ma che, per particolari indicazioni, può anche essere somministrato per via orale oppure introdotto nel retto o in un'articolazione.
L'esame con il mezzo di contrasto è controindicato nelle persone allergiche a questa sostanza. In casi eccezionali, in cui l'indagine sia indispensabile, il medico potrà comunque decidere di eseguirla adottando varie misure precauzionali. L'impiego del mezzo di contrasto iniettato per via endovenosa potrebbe inoltre essere problematico in persone affette da malattie che espongono a un maggior rischio di complicanze, soprattutto a carico dei reni: diabete, insufficienza renale, insufficienza epatica e mieloma. Questo è il motivo per cui, nei pazienti in cui è necessario iniettare il mezzo di contrasto, viene sempre richiesto di eseguire, prima dell'indagine, esami del sangue che verifichino la funzione del rene (attraverso la misurazione dei livelli di creatinina).

La TAC non deve essere eseguita nei giorni successivi ad altri esami radiologici che utilizzino il bario (per es. clisma opaco), perché le immagini ottenute potrebbero risultarne alterate.


Occorre qualche tipo di preparazione particolare all'esame?

Nei casi in cui l'indagine non preveda l'uso del mezzo di contrasto non è necessaria alcuna preparazione. Al contrario, per gli esami che comportano l'impiego di contrasto per via endovenosa, il paziente deve essere a digiuno almeno da quattro ore. In tutti i casi è inoltre essenziale evitare di indossare vestiti o accessori con parti metalliche che possono alterare il processo di acquisizione delle immagini.


E' meglio che mi faccia accompagnare da qualcuno o posso venire da solo? Potrò guidare la macchina per tornare a casa?

Non è necessario farsi accompagnare. L'esecuzione della TAC non ha infatti alcun impatto sulla capacità di guidare veicoli.


L'esame è doloroso?

No, l'esame non è mai doloroso, se si esclude il possibile piccolo fastidio legato all'iniezione del mezzo di contrasto.


Potrò avere altri tipi di disagio durante o dopo la sua esecuzione?

Alcuni pazienti riportano dei disturbi legati all'iniezione del contrasto: una sensazione di calore diffuso, il bisogno di urinare, molto raramente un gusto metallico in bocca e una lieve sensazione di nausea. Questi sintomi generalmente scompaiono in pochi minuti. Molti pazienti temono di sottoporsi alla TAC per paura di soffrire di claustrofobia.

In realtà le apparecchiature moderne sono molto più aperte di quelle di un tempo, per cui il lettino, più che entrare in un tunnel come accadeva una volta, passa attraverso un cerchio di una profondità non superiore ai 50 cm. In caso di necessità è comunque possibile chiedere agli operatori un sedativo che aiuti a restare fermi per tutto il tempo necessario all'esecuzione dell'esame.

L'esame comporta dei rischi immediati?

I rischi immediati della TAC sono imputabili solamente all'iniezione endovenosa del mezzo di contrasto, per cui possono essere ridotti al minimo valutando in precedenza le condizioni del paziente. I più frequenti - e comunque molto rari - effetti collaterali sono rappresentati dalla comparsa di piccole reazioni allergiche che comportano prurito e macchie rossastre sulla pelle.

I sintomi durano poco e scompaiono da soli. In rarissimi casi possono verificarsi reazioni allergiche più serie, ma che possono essere immediatamente controllate con farmaci somministrati attraverso lo stesso ago utilizzato per iniettare il mezzo di contrasto.


L'essame mi espone a radiazioni o ad altri rischi a lungo termine?

L'esame prevede l'utilizzo di raggi X, quindi è opportuno non abusarne. L'esposizione a radiazioni, infatti, aumenta il rischio di tumori e leucemie in relazione alla dose, soprattutto nei bambini e nei giovani, per cui occorre in ogni singolo caso confrontare questi possibili rischi con il beneficio che ci si attende dall'indagine.


 Quanto dura?

L'esecuzione dell'esame varia a seconda della zona esaminata e dal sospetto diagnostico che si vuole confermare. In ogni caso la durata oscilla tra i tre e i 20 minuti.

Alla fine posso andare subito a casa o devo restare in osservazione? Per quanto?

In genere non è necessaria alcuna attesa al termine dell'esame, anche se, nel caso di iniezione endovenosa di mezzo di contrasto, può essere considerato prudenziale attendere qualche minuto presso il reparto di radiologia, in particolare se vi è il dubbio di qualche iniziale sintomo di allergia. Nelle persone affette da malattie renali a volte viene iniettata una soluzione fisiologica per consentire la più rapida eliminazione del mezzo di contrasto.

Posso riprendere subito la mia vita normale o devo avere particolari accortezze?

Eseguito l'esame, si può tornare alle proprie abitudini quotidiane. L'unico consiglio è di bere abbondantemente, nelle ore successive all'indagine, per facilitare l'eliminazione del mezzo di contrasto.

TAC spirale: uno screening controverso

L'efficacia dello screening con TAC spirale in termini di riduzione della mortalità è ancora un argomento controverso. Gli studi osservazionali finora pubblicati hanno riportato un aumento di oltre tre volte delle diagnosi di cancro polmonare senza però una consistente diminuzione nel numero dei tumori più aggressivi e senza una sostanziale riduzione della mortalità.
I risultati dei due studi di screening randomizzati finora pubblicati hanno prodotto risultati contrastanti.
Uno studio italiano (Infante et al., 2009) non ha riportato un beneficio sulla mortalità mentre i recenti risultati del più grande studio americano (NSLT group, 2011) hanno mostrato una riduzione del 20 per cento della mortalità per cancro polmonare, e del 6,9 per cento della mortalità globale, negli individui sottoposti a screening con TAC spirale rispetto a quelli con raggi-X convenzionali.
Tuttavia, prima che lo screening con TAC spirale possa essere offerto a milioni di individui nel mondo, è necessario selezionare meglio gli individui a rischio (possibilmente con l'uso di biomarcatori), determinare la frequenza e la durata dello screening, valutare i costi e gli effetti collaterali quali l'aumento delle procedure invasive e il danno radiologico)
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Tumore al polmone

Gabriella Sozzi, biologa molecolare parla del tumore al polmone.

 

Cos'è

I polmoni sono due organi simmetrici, spugnosi, posti nel torace. La loro funzione è quella di trasferire l'ossigeno respirato al circolo sanguigno e depurarlo dell'anidride carbonica prodotta dall'organismo.
Il tumore del polmone compromette questa funzione in quanto provoca una crescita incontrollata di determinate cellule polmonari (quelle che costituiscono bronchi, bronchioli e alveoli) che possono costituire un massa che ostruisce il corretto flusso dell'aria, oppure provocare emorragie polmonari o bronchiali.
Non esiste un solo tipo di tumore al polmone bensì diverse tipologie di malattia a seconda del tessuto polmonare interessato.

 

Tipologie

Bronchi, bronchioli e alveoli polmonari sono ricoperti da un sottile strato di tessuto detto epiteliale. Il 95 per cento dei cancri al polmone origina proprio dall'epitelio e viene chiamato carcinoma broncògeno (ovvero originato dai bronchi). Nel restante 5 per cento dei casi l'origine può essere a livello di tessuti diversi che compongono il polmone, per esempio i tessuti nervoso ed endocrino (in questo caso si parla di carcinoide polmonare di origine neuroendocrina) o linfatico (in questo caso si tratta di un linfoma polmonare).
Il carcinoma spinocellulare (detto anche squamocellulare) rappresenta il 25-30 per cento dei tumori broncògeni e nasce nelle vie aeree di medio-grosso calibro. È dovuto alla trasformazione dell'epitelio bronchiale provocata dal fumo di sigaretta. È questo il tumore polmonare con la prognosi migliore.

Al pari del precedente, anche il microcitoma (o tumore a piccole cellule), che si osserva nel 20 per cento circa dei casi, insorge nei bronchi che hanno diametro più grande, e anch'esso è correlato con il fumo di sigaretta. Questo tumore è costituito da cellule di piccole dimensioni, ha un'origine di tipo neuroendocrina e può esistere in forma pura oppure coesistere con altri tipi. La sua prognosi è in genere peggiore del precedente.

L'adenocarcinoma si presenta in circa il 30 per cento dei casi e si localizza, al contrario dei precedenti, in sede più periferica e cioè a livello dei bronchi di calibro minore. È il tumore polmonare più frequente tra chi non ha mai fumato e talvolta è dovuto alla presenza di cicatrici polmonari (per esempio per vecchie infezioni tubercolari o per pleuriti). Un sottotipo è rappresentato dall'adenocarcinoma bronchioloalveolare che deriva dalle cellule che tappezzano gli alveoli e che tende a diffondersi lungo le vie aeree.

Meno frequente (10-15 per cento) è invece il carcinoma a grandi cellule che deriva anch'esso dalle vie aeree più piccole.

Dal punto di vista clinico si è soliti fare distinzione tra il tumore polmonare a piccole cellule (cioè il microcitoma) e il tumore polmonare non a piccole cellule (che comprende i restanti tipi sopra menzionati). L'importanza di questa suddivisione è legata al diverso tipo di trattamento.

 

Evoluzione

I tumori polmonari sono classificati in base a quattro stadi di gravità crescente.
Per la classificazione di questo e altri tumori si usa il cosiddetto sistema TNM.

Il parametro T descrive la dimensione del tumore primitivo (cioè quello che si è manifestato per primo nel caso in cui questi siano più di uno sia all'interno del polmone sia nel resto dell'organismo), il parametro N prende in considerazione l'eventuale interessamento dei linfonodi e infine il parametro M fa riferimento alla presenza o meno di metastasi a distanza.


TNM, sistema

È il sistema internazionale di classificazione dell'evoluzione di un tumore (stadiazione), che considera tre parametri: dimensioni del tumore primitivo (T), coinvolgimento dei linfonodi regionali adiacenti al tumore (N) e presenza di metastasi a distanza (M).
Ciascuna categoria, a sua volta, è divisa in sottogruppi, a seconda delle dimensioni progressivamente crescenti del tumore, del numero di linfonodi coinvolti, e della presenza o meno di metastasi a distanza. In base alle dimensioni si distinguono cinque gradi, a partire da T0 a T4. Per quanto riguarda i linfonodi, si definisce N0 una condizione in cui i linfonodi regionali non sono interessati, e con una sigla crescente da N1 a N3 il progressivo coinvolgimento di un maggior numero di stazioni linfonodali. La presenza di metastasi viene connotata dall'indicazione M1, mentre M0 indica la loro assenza.
Nel complesso, un tumore viene considerato tanto più avanzato quanto più è voluminoso ed esteso oltre l'organo interessato. Oltre che per la formulazione della prognosi, la stadiazione dei tumori è cruciale per stabilire il piano terapeutico più efficace.

Sintomi

Come già accennato in precedenza, il carcinoma spinocellulare e il microcitoma insorgono in posizione più centrale, cioè nei rami bronchiali di calibro maggiore; l'adenocarcinoma e il carcinoma a grandi cellule si presentano invece in posizione più periferica.
Il tumore del polmone può diffondersi per contiguità alle strutture vicine (la pleura, la parete toracica e il diaframma sono alcuni esempi), per via linfatica ai linfonodi (bronco-polmonari, mediastinici e sovraclaveari) o attraverso il flusso sanguigno: in questo ultimo caso si presenterà con metastasi a distanza. Quasi tutti gli organi possono essere colpiti: il fegato, il cervello, i surreni, le ossa, i reni, il pancreas, la milza e la cute.

Il tumore del polmone non sempre si manifesta con chiarezza fin dagli esordi e i sintomi possono essere comuni ad altre malattie polmonari. Tosse secca o con catarro (talora striato di sangue), piccole perdite di sangue con i colpi di tosse (emottisi), difficoltà respiratorie, dolore al torace e perdita di peso sono segni e sintomi caratteristici che possono anche presentarsi in forma lieve e in una piccola percentuale di casi mancare.

 

Diagnosi

L'esame istologico (cioè lo studio al microscopio di un frammento di tessuto prelevato dal tumore) è fondamentale per poter impostare con correttezza il programma di terapia.
Per la diagnosi di un tumore del polmone che abbia manifestato sintomi, oltre all'esame clinico, la radiografia e la TAC del torace sono esami fondamentali.

Nei casi dubbi si utilizzerà la PET oppure metodi più fastidiosi ma necessari come la broncoscopia (utile anche per eseguire prelievi del tessuto senza ricorrere all'intervento chirurgico).

 

Come si cura

L'approccio terapeutico cambia a seconda che ci si trovi di fronte a un tumore a piccole cellule, sensibile ai chemioterapici, oppure a un tumore non a piccole a cellule, che non presenta tale sensibilità.
Nel primo caso la malattia è più aggressiva e proprio per questa sua caratteristica il trattamento si basa principalmente sulla chemioterapia e sulla radioterapia (ove possibile); la chirurgia, cioè l'eliminazione del tumore mediante l'asportazione della parte di polmone coinvolta, del tutto o in parte (lobectomia), è indicata solamente in casi selezionati.

Nel tumore non a piccole cellule l'intervento chirurgico rappresenta invece la terapia di scelta, a meno che non siano già presenti metastasi a distanza.

Nel caso di un tumore di grosse dimensioni esiste la possibilità di effettuare la chemioterapia prima o dopo l'operazione chirurgica che prende il nome rispettivamente di neoadiuvante o adiuvante. Lo scopo è quello di ridurre la dimensione del tumore per rallentare le ricadute. È possibile anche utilizzare la radioterapia.
Tra i farmaci chemioterapici più attivi ricordiamo i derivati del platino e i taxani: sono comunque allo studio nuove molecole che hanno già dimostrato una certa attività su altri tipi di tumore e che ora vengono testati anche su questo.

Per quanto riguarda i farmaci biologici, sono allo studio nuove terapie, in particolare contro l'EGFR (un fattore di crescita cellulare coinvolto nella proliferazione tumorale) e contro il gene ALK (un recettore di membrana che produce uno stimolo proliferativo). Benché siano disponibili farmaci intelligenti contro l'EGFR (per esempio il gefitinib )e contro ALK (crizotinib), i risultati non sono stati quelli sperati a causa di altre mutazioni genetiche concomitanti che possono rendere il tumore resistente al farmaco biologico. Attualmente sono in sperimentazione strategie di aggiramento di queste modificazioni genetiche e nuove molecole biologiche.

 

Chi è a rischio

Il più importante fattore di rischio nel tumore del polmone è rappresentato dal fumo di sigaretta: esiste infatti un chiaro rapporto dose-effetto, e questo vale anche per il fumo passivo, tra questa abitudine e la neoplasia. Ciò significa che più si è fumato (o più fumo si è respirato nella vita), maggiore è la probabilità di ammalarsi. Questa relazione vale in particolare per alcuni sottotipi di cancro al polmone: il carcinoma spinocellulare e il microcitoma.
Il fumo di sigaretta contiene numerose sostanze che agiscono direttamente (cioè con lesioni immediate) o indirettamente (cioè con lente modificazioni nel corso del tempo) a livello dei bronchi. Per fare un esempio, sono cancerogeni diretti gli idrocarburi aromatici policiclici (cioè i prodotti della combustione, tra cui il ben noto benzopirene) e le nitrosamine (derivati dell'ammoniaca usati nella lavorazione delle sigarette); invece i fenoli e le aldeidi (contenuti per esempio nella carta) si sono dimostrati fattori indiretti, cioè sono in grado, col tempo, di promuovere la trasformazione delle cellule in senso tumorale.
Esistono poi altri cancerogeni chimici come l'amianto (asbesto), il radon, i metalli pesanti, il catrame e gli oli minerali, che provocano il tumore del polmone soprattutto in quella parte di popolazione che viene a contatto con queste sostanze per motivi di lavoro: si parla in questo caso di esposizione professionale.

Esistono numerosi studi che dimostrano che i cancerogeni contenuti nel fumo di sigaretta inducono specifiche alterazioni molecolari in due geni, p53 e FHIT, comportandone una perdita di funzione che promuove lo sviluppo di cancro polmonare.

Il fumo in cifre
 

Il fumo di sigaretta è oggi ritenuto il fattore causale più importante del tumore polmonare. È stato dimostrato che un uomo dell'età di 35 anni, che fuma 25 o più sigarette al giorno, ha un rischio di morire di cancro del polmone prima dei 75 anni pari al 13 per cento.
Il rischio aumenta in relazione a:

1. numero di sigarette fumate (in modo proporzionale diretto: più sono, più sale il rischio);
2. età di inizio dell'abitudine al fumo (più si è giovani, più rischi si corrono);
3. assenza di filtro nelle sigarette (i prodotti della combustione, come i catrami, contribuiscono in modo rilevante alla patologia).

Nei soggetti che smettono di fumare il rischio si riduce nel corso dei 10-15 anni successivi, fino a eguagliare quello di chi non ha mai fumato, se si riesce a smettere per tempo. Anche il fumo passivo aumenta il rischio di sviluppare il carcinoma polmonare (ovvero aumenta del 19 per cento il rischio dell'individuo non fumatore di ammalarsi di cancro al polmone).

 

Quanto è diffuso

Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte nei Paesi industrializzati.
Questa malattia da sola rappresenta il 20 per cento di tutti i tumori maligni nelle persone di sesso maschile. In questi ultimi anni, però, si sta registrando un progressivo aumento anche tra le donne. La ragione è semplice: le donne fumano sempre di più e il fumo è la prima causa di cancro al polmone.

In Italia si stimano circa 34.000 nuovi casi di tumore ogni anno nelle persone fino agli 84 anni di età . Pur tenendo conto dell'aumento dei casi dovuto all'invecchiamento della popolazione, in media un uomo ogni tre e una donna ogni quattro ha la probabilità di avere una diagnosi di tumore nel corso della vita media (0-74 anni). In Italia muoiono per tumore del polmone circa 27.500 persone all'anno (circa 22.000 uomini e 5.500 donne), rappresentando la prima causa di morte oncologica negli uomini e la seconda nelle donne. Secondo l'ultimo rapporto ISTAT, la mortalità per tumore diminuisce del 2 per cento circa l'anno, ma nel caso del cancro polmonare tale diminuzione riguarda solo gli uomini mentre nelle donne i decessi sono aumentati dell'1,5 per cento.

 

Prevenzione

Per fare una buona prevenzione del cancro al polmone non resta che eliminare il fumo.
Nel caso dei non fumatori è bene far rispettare in ogni occasione i divieti imposti nei luoghi pubblici e di lavoro, in particolare in presenza di bambini.

Non vi è ancora accordo tra gli esperti sull'opportunità di sottoporre a screening (cioè a esami periodici) persone che sono a rischio elevato perché fumatrici o ex fumatrici: la ragione è che non sempre gli screening sono efficaci, individuano il tumore precocemente e consentono di effettuare terapie che aumentano effettivamente la durata di vita della persona.
Studi sono ancora in corso per dimostrare l'utilità di sottoporre i fumatori ultra cinquantenni a esami annuali come la TAC spirale o l'esame citologico dello sputo. Sono disponibili anche alcuni marcatori nel sangue (tra cui alcuni ormoni) che consentono di valutare l'evoluzione della malattia.

Uno screening controverso

L'efficacia dello screening con TAC spirale in termini di riduzione della mortalità è ancora un argomento controverso. Gli studi osservazionali finora pubblicati hanno riportato un aumento di oltre tre volte delle diagnosi di cancro polmonare senza però una consistente diminuzione nel numero dei tumori più aggressivi e senza una sostanziale riduzione della mortalità.
I risultati dei due studi di screening randomizzati finora pubblicati hanno prodotto risultati contrastanti.
Uno studio italiano (Infante et al., 2009) non ha riportato un beneficio sulla mortalità mentre i recenti risultati del più grande studio americano (NSLT group, 2011) hanno mostrato una riduzione del 20 per cento della mortalità per cancro polmonare, e del 6,9 per cento della mortalità globale, negli individui sottoposti a screening con TAC spirale rispetto a quelli con raggi-X convenzionali.
Tuttavia, prima che lo screening con TAC spirale possa essere offerto a milioni di individui nel mondo, è necessario selezionare meglio gli individui a rischio (possibilmente con l'uso di biomarcatori), determinare la frequenza e la durata dello screening, valutare i costi e gli effetti collaterali quali l'aumento delle procedure invasive e il danno radiologico)
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lunedì 2 dicembre 2013

Il cervello anarchico

"Vi racconto come il pensiero può farvi ammalare o guarire"

Enzo Soresi, tisiologo, anatomopatologo, oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano. Nel libro "Il cervello anarchico" racconta casi di persone uccise dallo stress o salvate dallo choc carismatico della fede

Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.


C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel V secolo avanti Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero.

Primo caso: «Ho in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’è ammalata di tubercolosi. Io lo chiamo danno biologico primario».

Secondo caso: «Un agricoltore sessantenne con melanoma metastatico incontrò Madre Teresa di Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo shock carismatico».

Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo, tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico. Non riusciamo a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche, Madre Teresa, consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto fuori il cancro». 
Come Soresi illustra nel libro Il cervello anarchico (Utet), già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale.
«Il secondo ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera. L’organo-mito è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti. Quando si attivano, producono ormoni cerebrali.
Questa si chiama Pnei, psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori vengano liberati da un’emozione. Io e lei siamo due esperimenti biologici che datano 4 miliardi di anni. Io sono più riuscito di lei. Perciò nego la vecchiaia. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal cervello: chi non le utilizza, le perde. Le premesse della longevità sono due: camminare 40 minuti tre volte la settimana - altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello - e studiare». 
Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per allungare la vita di 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere o a compilare le parole crociate, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo interessata a queste attività. Se io oggi sottopongo la sua testa a una scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per immagazzinare questa lingua. Prenda i tassisti di Londra: hanno un ippocampo più grande perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si estende per 6 miglia».

Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre: suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano, oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma.
«È un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia. Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi. Era diventato la mia ossessione: non riuscire a guarire una cosa che sparisce».

Com’è possibile?
«Ci ho scritto 100 lavori scientifici e ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress».


Diciamo una scienza inesatta.
«L’ho provato sulla mia pelle nel 1950. Ero basso di statura, come adesso, e mio padre si preoccupava. Eppure le premesse genetiche c’erano tutte: lui piccolo, mia madre piccola. Mi portò dal mitico professor Nicola Pende, endocrinologo che aveva pubblicato sei volumi sul timo come organo chiave dell’accrescimento. Pende mi visitò, mi palpò i testicoli e concluse: “Questo bambino ha il timo iperplastico, troppo grosso. Bisogna irradiarlo”. Se mio padre avesse seguito quel consiglio, sarei morto. Questa è la medicina, ragazzi, non illudiamoci».


Torniamo al cervello.
«Sto aspettando di diventare nonno. Il tubo neurale della mia nipotina ha cominciato a svilupparsi dal secondo mese di gravidanza. Alla nascita il cervello non sarà ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora facciamo l’ipotesi che un neonato abbia la cataratta: se non viene operato entro tre mesi, i neuroni specifici della vista non si attivano e quel bimbo non vedrà bene per il resto della vita. Oppure poniamo che la madre sia ansiosa e stressata, il padre ubriacone e manesco: lei capisce bene che i segnali ricevuti dal neonato sono ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili. E questo vale fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e la persona assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono i tre anni che ci fanno muovere».


Allora non è vero che si può «entrare» nel cervello.
«Ai tempi in cui facevo le autopsie, aprivo il cranio e manco sapevo a che cosa servissero i lobi frontali. Li chiamavamo lobi silenti, proprio perché ne ignoravamo la funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori d’orchestra di ogni nostra azione».


E graziaddio avete smesso con le lobotomie.
«A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una metastasi al lobo frontale destro».


Ippocrate aveva definito il cervello come una ghiandola mammaria.
«Aveva còlto la funzione secretiva di un organo endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali - la serotonina, la dopamina, le endorfine - ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei tre sistemi che formano il network della vita. Lei sa che cosa sono le citochine?».


Sì e no.
«Sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene, che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto nel cervello. Le faccio un esempio di come il cervello da solo può curare una patologia?».


La ascolto.
«Avevo un paziente affetto da asma, ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”. La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma».


Effetto placebo degli spilloni.
«Paragonabile a quello dei finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo».


Esemplifichi.
«Donna di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante. Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò: “Non m’interessa. L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un abbassamento delle difese immunitarie. Almeno morì contenta, sei mesi dopo. Vuole un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?».


Prego.
«Colf di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La figlia le dice: “Vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Stress di 10 giorni, ginocchio gonfio così. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia: non s’era mai attivata, ma al momento del disagio mentale è esplosa. C’è voluto un intervento chirurgico».


Nel libro Il cervello anarchico lei riferisce di sogni premonitori.
«Sì. Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva sognato. Del resto lo psicoanalista Carl Gustav Jung mentre dormiva avvertì un forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse: “Mi sono sparato. Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: s’era suicidato e la busta era nel posto indicato».

I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello?
«Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di’ alla mamma che le suore pregheranno per lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».


Come si mantiene in buona salute il cervello?
«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S’è iscritto all’università della terza età, ha preso passione per la lingua egiziana, tutti i giorni sta cinque ore davanti al computer, ha già tradotto quattro libri in italiano dall’egiziano. È ringiovanito, ha cambiato faccia».


Sappiamo tutto del cervello?
«Nooo! Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al 70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia».


Allora come fa una legge dello Stato a dichiarare morto un organo che per il 30% ci è ignoto e della cui coscienza sappiamo poco, forse nulla?
«Siccome si muove per stimoli elettrici, nel momento in cui l’elettroencefalogramma risulta muto significa che il cervello non è più attivo».


Ma lei che cosa pensa della morte cerebrale?
«Mi fermo... Però ha ragione, ha ragione lei a essere così attento alla dichiarazione di morte. Nello stesso tempo c’è un momento in cui comunque bisogna dichiarare la morte di un individuo dal punto di vista biologico».


Prima del 1975 dichiaravate la morte quando il cuore si fermava, l’alito non appannava più lo specchio, il corpo s’irrigidiva.
«Eh, lo so... La morte cerebrale consente di recuperare gli organi per i trapianti».


Ha mai sperimentato su di sé disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute?
«Nel 1971 ho sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un linfogranuloma a 33 anni. Devo tutto a lei. Era una pittrice figurativa che andò a studiare negli Stati Uniti appena sedicenne e indossava i jeans quando a Milano non si sapeva manco che esistessero. La malattia cambiò la sua arte. Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu irradiata in maniera scorretta da un grande radioterapista dell’epoca, per cui nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel 1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha lasciato un modello perfetto: un bambino che riesce a sopportare persino la perdita più straziante solo perché la mamma ha saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di vita».
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