Ce l’abbiamo fatta! Siamo riusciti ad intervistare nuovamente il Dott. Marco Bertolotto,
a distanza di 15 mesi dalla prima intervista che ci rilasciò a Milano,
questa volta direttamente dal suo centro operativo: l’Ospedale Santa
Corona di Pietra Ligure, nella provincia di Savona. Riusciamo così
finalmente ad aggiornarci e ad aggiornare i numerosi lettori che tempo
fa dimostrarono di aver molto apprezzato l’articolo.
Dall’ultima volta che abbiamo
avuto il piacere di intervistarla, come si sono evoluti i progetti di
cui ci aveva parlato sulla cannabis terapeutica?
Abbiamo fatto grossi passi avanti nel frattempo: oggi al Centro di Terapia del Dolore dell’Ospedale Santa Corona
seguiamo circa 600 pazienti tra i quali buona parte di loro nella
terapia del dolore, altri sono pazienti tumorali che seguiamo per le
cure palliative, altri ancora sono pazienti tumorali che seguiamo invece
come terapia tumorale, poi abbiamo pazienti con la sclerosi multipla,
pazienti con la fibromealgia, pazienti con l’artrite reumatoide ed
alcuni pazienti con l’epilessia. Naturalmenteutte essendo io uno
specialista in terapia del dolore, tutte le cure che esulano dalla
terapia del dolore le seguo in collaborazione con altri specialisti:
neurologi, oncologi, reumatologi.
Sicuramente il dato che viene fuori è che la cannabis è una grande
opportunità, anche se va messa in mano a persone che sanno come si deve
utilizzare, perché rispetto a quelli che sono i farmaci tradizionali non
abbiamo un prodotto che possiamo utilizzare milligrammi pro kilo:
dobbiamo fare dei prodotti galenici che devono essere preparati dal
farmacista e come si fa normalmente con i prodotti di questo tipo, se li
fai in una determinata farmacia puoi riscontrare determinati valori di
tetraidrocannabinolo, fatto da un’altra farmacia può cambiare
sensibilmente. Quindi ci sono molte variabili e il medico ha un ruolo
importante nel seguire il paziente, perché deve adattare la terapia alla
sintomatologia e agli effetti collaterali.
Da parte della classe medica sta riscontrando un buon interesse verso questa pianta curativa?
Quello della preparazione della classe medica è uno degli aspetti più
complessi. Sicuramente rispetto a 2 anni fa le cose sono cambiate in
meglio, nel senso che c’è più interesse. Personalmente vengo chiamato
sempre più spesso per fare conferenze, convegni e congressi, o per
parlare anche a piccoli gruppi di medici che mi chiedono se posso
spiegare loro cos’è la cannabis, come si utilizza, etc. Questo è un dato
certamente interessante che mi permette di affermare che c’è senz’altro
un’apertura.
Un’apertura che si verifica sostanzialmente grazie ad una forte
pressione da parte dei pazienti: siamo ancora in una fase in cui i
pazienti sono più avanti dei medici per quanto riguarda l’uso della
cannabis per uso medico. Quando i pazienti stanno male con le medicine
tradizionali e non riescono a risolvere il problema, leggono, ascoltano
conferenze, fanno ricerche su internet e spesso scoprono che con la
cannabis ci può essere del beneficio e così chiedono informazioni al
proprio medico di famiglia; quando il medico è impreparato, prima si
rifiutava e diceva: “No, queste sono cose che non hanno nulla a che
fare con la medicina!”, oggi incomincia a dire: “Mi devo interessare,
devo capire!” e quindi i medici stessi mi chiamano spesso per fare
attività di formazione.
Con l’Associazione Medical Cannabis poi, abbiamo anche creato il primo corso online
per medici, farmacisti e pazienti dove poter apprendere tutte le
informazioni sulla cannabis ad uso terapeutico, e sta avendo un ottimo
riscontro.
Come si è evoluto il progetto su un possibile Centro Medico specializzato sulle cure a base di cannabis terapeutica?
Avevamo l’idea di fare una vera e propria clinica che potesse curare
con l’utilizzo della cannabis, ma è un progetto che ha incontrato
tantissime barriere, tutte di natura morale (e/o culturale n.d. r.): i
grossi gruppi farmaceutici non vogliono ancora legare il proprio nome
alla cannabis, c’è ancora troppa diffidenza. Per cui lavoriamo ancora in
modo poco coordinato come invece dovremmo evitare di fare.
Negli scorsi giorni però è nato un gruppo che si chiama: “Medical
Cannabinoid Clinic (MCC)”, di cui sono il Senior Advisor e spero che con
questo gruppo si riesca a lavorare, a fare delle cose nuove. L’idea è
di partire dal Regno Unito per mettere in rete medici di varie parti
d’Europa e cercare di capire se si riesce a far pressione sui grossi
gruppi farmaceutici, perché siano disponibili a portare avanti anche
questo tipo di terapia. Quindi nelle prossime settimane porteremo avanti
anche il nome della MCC di Londra.
A che punto è la ricerca sull’effetto della cannabis terapeutica sul cancro?
Oramai è definito e chiaro che la cannabis abbia effettivamente una
sua funzione come antiemetico (contro il vomito), come anti-nausea,
contro il dolore e favorisca l’appetito; queste sono tutte funzioni
importanti nel paziente affetto da tumore perché avere qualcosa che
migliora la sua condizione è sicuramente utile.
Ma sono stati fatti anche dei lavori pre clinici che dicono che la
cannabis ha una sua funzione antitumorale, perché induce la cellula
tumorale a morire. La cellula tumorale infatti perde la funzione di
“apoptosi”, ovvero viene meno il meccanismo di morte programmata. A
quanto pare la cannabis riesce a reintrodurre nella cellula la morte
programmata, per cui la cellula tumorale muore.
I dati sono interessanti; i primi studi sull’uomo sono stati fatti su
tumori cerebrali ed in particlare sul “gliobastoma multiforme”, che è
uno dei peggiori tumori che ci siano perché non dà scampo; ma persino su
questo tipo di tumore, con la cannabis ci sono dati positivi. Speriamo
nelle prossime settimane/mesi/anni di avere dei dati ancora più
interessanti.
I ricercatori italiani purtroppo non riescono a fare ricerca come vorrebbero e come dovrebbero poter fare perché intorno alla cannabis c’è ancora un forte pregiudizio e quindi i comitati etici non sempre danno un parere positivo per questo tipo di ricerca; non solo: il Ministero della Salute al momento non sta autorizzando gli studi sulla cannabis terapeutica. Quindi i nostri ricercatori spesso devono condurre gli studi tramite altre nazioni come l’Israele, gli USA, il Canada, l’Olanda, la Spagna per riuscire a portare avanti la ricerca.
Speriamo nel prossimo futuro sia possibile vedere anche ricercatori italiani impegnati in questo campo, nel loro paese.
Cos’ è cambiato dal punto di vista legislativo dall’ultima intervista?
Non è cambiato molto dal punto di vista legislativo (ricordiamo che
il disegno di legge sulla legalizzazione della cannabis a scopo
ricreativo e sull’armonizzazione della legislazione sull’uso terapeutico
è stata rispedita in commissione lo scorso ottobre, n.d.r.), ma a gennaio 2017 è stata resa disponibile la cannabis di produzione statale, che si chiama “FM2”.
È un’ottima cannabis che contiene tetraidrocannabinolo e cannabidiolo
ed è simile al Bediol, già prodotto dalla ditta olandese Bedrocan;
quindi oramai sono circa 2 mesi che c’è questa disponibilità e
cominciamo a prescriverla ai primi pazienti. Vedremo se la produzione
sarà una produzione continua e se la qualità sarà mantenuta come nel
primo lotto che è arrivato.
Personalmente spero che la potranno produrre anche delle aziende,
perché francamente sono sempre contro i monopòli e contro uno Stato che
invece di fare il regolatore fa il produttore. A me piace il modello
canadese dove lo Stato detta delle linee guida alle quali i produttori
devono attenersi. Questo, secondo me, sarebbe il sistema migliore,
perché avremmo probabilmente più tipi di cannabis, quindi diverse
qualità, diverse concentrazioni e di conseguenza avremmo davanti un
ventaglio di possibilità sicuramente utile per il paziente e sicuramente
il prezzo si abbasserebbe rispetto a quello odierno.
Quali sono le principali criticità in Italia che permangono riguardo all’uso della cannabis terapeutica?
Uno dei grandi problemi della terapia con la cannabis è che essendo
un prodotto galenico, la qualità è in funzione dell’operatore che la
produce. Se il farmacista è pratico, capace, ha esperienza ed ha una
strumentazione valida, riusciamo ad avere un prodotto standardizzato, se
invece il farmacista non ha tutte queste caratteristiche si rischia che
oggi dia un prodotto di un certo tipo e domani di un altro; perciò
quando abbiamo a che fare col paziente non capiamo perché non funziona o
ha degli effetti collaterali strani. Quindi il modus operandi degli
operatori è ancora in fase primordiale.
Oggi i metodi di somministrazione sono: le capsule decarbossilate,
l’olio, la vaporizzazione, le supposte, le tisane e ognuno di questi ha
la sua peculiarità e non sono mai metodi sovrapponibili, né si può mai
passare dall’uno all’altro senza fare dei tentativi.
Speriamo che in un prossimo futuro la ricerca da parte delle case
farmacologiche riesca a trasformare questa pianta in qualche cosa di
facilmente utilizzare per tutti e facilmente reperibile nelle farmacie.
Noi (Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, n.d.r.) abbiamo la nostra
farmacia ospedaliera, quindi abbiamo un prodotto che oramai è
standardizzato, ma la maggior parte in Italia non sono farmacie
ospedaliere, quanto piuttosto farmacie private; ognuno ci si butta
dentro e prova, però spesso non riesce a capire cosa funziona e cosa no:
non è ancora molto scientifico l’atteggiamento.
Cosa desidera cambi nel prossimo futuro in Italia e cos’è in generale per lei “l’Italia che cambia”?
Il primo auspicio è che cadano definitivamnete i pregiudizi, subito
dopo spero che si tenga separata la cannabis per uso medico da quella
per uso ludico: se mettiamo tutto nello stesso calderone non facciamo un
buon servizio per nessuna di queste categorie; per cui il mio auspicio è
che il prossimo Parlamento, visto che presto o tardi ci saranno le
elezioni, affronti il tema cannabis in modo differente.
La cannabis in sé è sicuramente parte di un’Italia che sta cambiando,
o perlomeno che prova a cambiare ed è un cambiamento difficile, dove ci
sono grandi resistenze e stiamo lavorando tantissimo e in pochi. Sembra
però che un po’ di porte comincino ad aprirsi e questo è sicuramente
positivo, cominciamo a poter seguire tanti malati, ad avere più medici
che si interessano alla questione; anche da parte del Ministero della
Salute inizialmente c’era una chiusura nei confronti dei medici che si
occupavano di cannabis, mentre ora c’è più apertura.
La parte più indietro in assoluto è la politica in questo momento,
perché è una politica distratta, disattenta, autoreferenziale, una
politica che si guarda l’ombelico pensando che sia il centro del mondo.
Questo in quanto operatori del settore è il nostro problema principale e
sarà difficile operare un vero cambiamento, a meno non ci si
prospettino due strade: la strada della gente che prova a cambiare e la
strada di una politica che farà altro. Speriamo che prima o poi queste
due strade si incontrino e che non lo facciano in modo traumatico. Il
vero problema è che il cambiamento è fondamentale e necessario e quando
questo non avviene e non è governato, comunque accadrà qualcosa. In
qualche modo i sistemi si resettano, no?
La cannabis è un piccolo capitolo che però è rappresentato da milioni
di persone che chiedono di potersi curare anche con metodi naturali, ma
curarsi in modo integrato. Chiedono che venga loro riconosciuto questo
diritto. Ma abbiamo una politica sorda che pensa che questo non sia un
suo problema.
Speriamo che cambi!
Per ulteriori approfondimenti cliccate qui.
Qui una lista completa dei medici e delle farmacie che in Italia utilizzano la cannabis terapeutica.
Articolo riproducibile citando la fonte con link al testo originale pubblicato su Italia che Cambia
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